La malattia oncologica nella donna

da | Prevenzione in Ginecologia Oncologica

Il tumore più cattivo                                                                                              

Ogni anno in Italia si registrano circa 5000 nuovi casi di tumore dell’ovaio. Pur essendo poco frequente, rappresenta la più comune causa di morte per patologie ginecologiche, presumibilmente a causa di una diagnosi tardiva. Tra i fattori di rischio si annoverano:

  • età (in genere viene diagnosticato dopo la quarta decade di vita, con picchi massimi tra i 50 e i 70 anni);
  • familiarità;
  • positività per mutazioni a carico dei geni BRCA1 e BRCA2 (mutazioni responsabili delle forme ereditarie non solo dei tumori ovarici ma anche mammari, che si manifestano tipicamente in età più giovane);
  • un prolungato periodo ovulatorio (menarca precoce, prima gravidanza dopo i 35 anni, menopausa tardiva, nulliparità);
  • obesità;
  • esposizione a sostanze tossiche come l’asbesto;
  • abuso di alcol.

Numerosi studi epidemiologici, inoltre, hanno documentato che il tasso di tumore ovarico è più alto nei paesi maggiormente industrializzati, dove la dieta è più ricca di grassi animali.

Sono invece fattori protettivi, che dunque diminuiscono il rischio d’insorgenza del tumore, la multiparità e l’allattamento al seno e tutte le condizioni che “mettono a riposo” l’ovaio.

La sopravvivenza a cinque anni è stimata nella misura del 90% se il tumore è confinato all’ovaio, ma scende al 15-20% negli stadi avanzati di malattia.

L’aspetto più critico di questa neoplasia è rappresentato dal fatto che, restando silente per lungo tempo, in quanto priva di un quadro sintomatologico specifico, nel 70-80% dei casi la diagnosi viene formulata tardivamente, quando il tumore ha raggiunto dimensioni critiche e si è già diffuso localmente o a distanza. Questo tipo di tumore è il piu’ cattivo perchè è una malattia che «nasce» già metastatica e che rapidamente si trasmette agli organi contigui, ancor prima di dare origine a masse tumorali rilevabili con l’ecografia.

La sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi di cancro dell’ovaio è oggi pari al 40% circa, mentre quella a dieci anni scende al 31%.

Il cancro ovarico occupa il decimo posto tra tutti i tumori nelle donne, con il 3% di tutti i casi e  rappresenta circa il 30% di tutti i tumori maligni dell’apparato genitale femminile; secondo i dati dell’Associazione italiana registri tumori (AIRTUM) colpisce, nell’arco della vita, una donna su 82 (contro una su 8 nel caso del cancro della mammella).

Questo tumore presenta un gradiente Nord-Sud: rispettivamente sono diagnosticati al Nord 12,1, al Centro 10,1 e nel Meridione 9,7 casi ogni 100.000 donne/anno.

Il carcinoma ovarico rientra tra le prime 5 cause di morte per tumore solo tra le donne in età 50-69 (7% del totale dei decessi).

 Il tumore più frequente

Il tumore della mammella è il tumore di gran lunga più frequente nel sesso femminile. Senza considerare i carcinomi cutanei, il carcinoma mammario è la neoplasia più diagnosticata nelle donne; circa un tumore maligno ogni tre (29%) è un tumore mammario.

Nel 2020, sono state fatte circa 55.000 nuove diagnosi di tumore alla mammella.

Tra i fattori di rischio: età, fattori riproduttivi, fattori ormonali, fattori dietetici e metabolici, pregressa radioterapia a livello toracico, precedenti displasie o neoplasie mammarie, familiarità ed ereditarietà.

Il rischio di ciascuna donna di ammalarsi varia molto con l’età, secondo i dati dell’Associazione Italiana Registri Tumori (Airtum), è del  2,4% fino a 49 anni (1 donna su 42), del 5,5% tra 50 e 69 anni (1 donna su 18) e del 4,7% tra 70 e 84 (1 donna su 21).

Complessivamente emerge che 1 donna su 9 in Italia si ammalerà di tumore al seno nel corso della sua vita.

Le differenze tra macro-aree osservate nel periodo 2008-2013 confermano una maggiore incidenza al Nord (162,2 casi/100.000 donne) rispetto al Centro (143,2 casi/100.000 donne) e al Sud-Isole (124,5 casi/100.000 donne).

L’incidenza più bassa nelle aree del Sud Italia  è in parte in parte legata a una diversa diffusione dei programmi di screening mammografico. L’incidenza del tumore della mammella è in crescita nel corso del tempo, mentre la mortalità è in riduzione.

Il carcinoma mammario rappresenta la prima causa di morte per tumore nelle donne, tuttavia, la mortalità è in continuo calo (-0,8%/anno) e questo si deve sia all’efficacia delle nuove terapie sia alla diagnosi precoce, che permette di individuare il tumore in una fase iniziale. Oggi la sopravvivenza media dopo 5 anni dalla diagnosi è di circa l’87% in media.

• stadio I: 99%; stadio II: 89%; stadio III: 70%; stadio IV o metastatico: 30%
• tra i 15 e i 44 anni: 91%; tra 45 e 54 anni: 92%; tra 55 e 64 anni: 91%; tra 65 e 74 anni: 89%; tra oltre i 75 anni: 79%.

La sopravvivenza dopo 10 anni dalla diagnosi è invece pari all’89% in media. 

Dalla fine degli anni Ottanta si osserva una moderata, ma continua tendenza alla diminuzione della mortalità per carcinoma mammario attribuibile ad una più alta sensibilità e anticipazione diagnostica e ai progressi  terapeutici. Da notare che la sopravvivenza per questo tumore varia da regione a regione ed è migliore nelle aree che hanno attivato programmi di screening di popolazione. Solo il 6-7% dei casi il tumore alla mammella si presenta metastatico alla diagnosi.

I tumori meno frequenti

Il cancro del corpo dell’utero è la terza neoplasia più frequente nella donna nella fascia di età 50-69 anni. La sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi per le donne con tumore del corpo dell’utero (endometrio) in Italia è pari al 77%,

Nel 2020 si sono registrati circa 8.000 nuovi casi (poco meno del 5% di tutti i tumori femminili), purtroppo, però, in Italia, l’incidenza e la mortalità di tale neoplasia sono in aumento.

I principali fattori di rischio delle forme endometrioidi legate all’iperestrogenismo (tipo 1) sono rappresentati da nulliparità, menopausa tardiva, obesità, diabete, ipertensione e terapia ormonale sostitutiva a base di estrogeni non adeguatamente controbilanciata dal progestinico. Le neoplasie estrogeno-indipendenti (tipo 2) si associano invece a pregressa radioterapia pelvica o pregresso uso del tamoxifene.

L’andamento dei tassi d’incidenza e di mortalità per età e area geografica non mostrano evidenti differenze.

Si manifesta principalmente in postmenopausa, ma il 15-20% dei casi riguarda donne in premenopausa e nel 2% donne al di sotto dei quaranta anni.

Il cancro della cervice uterina, secondo il rapporto “Global Cancer Statistics 2020”, prodotto in collaborazione dall’American Cancer Society (ACS) e dalla International Agency for Research on Cancer (IARC), si colloca al quarto posto tra i tumori più comuni nelle donne e rappresenta il 6,5 per cento di tutti i tumori che vengono diagnosticati nel sesso femminile.

In Italia nel 2020 si sono registrati circa 2.400 nuovi casi, l’1,3% di tutti i tumori diagnosticati nelle donne, secondo i dati riportati nel rapporto “I numeri del cancro in Italia, 2020” a cura, tra gli altri, dell’Associazione italiana registri tumori (AIRTUM) e dell’Associazione italiana di oncologia medica (AIOM). Questa neoplasia è più frequente nella fascia giovanile (4% dei casi, quinta neoplasia più frequente).

Nel nostro Paese la sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi delle pazienti con tumore della cervice uterina è del 68% e ogni anno circa 500 donne muoiono a causa della malattia (dati ISTAT 2017).

Il fattore eziologico di questa neoplasia è rappresentato dall’infezione persistente da Papilloma virus (HPV) e i fattori di rischio riguardano fondamentalmente tutte le condizioni che favoriscono l’infezione quali il basso livello socio-economico (con scarso accesso alla prevenzione), il numero di partner, la giovane età di inizio dell’attività sessuale e la parità.

Si tratta di una forma tumorale il cui impatto si è drasticamente ridotto, nei Paesi industrializzati, negli ultimi 30 anni grazie alla prevenzione attuata dall’uso del Pap-test nei programmi di  screening, cui recentemente si è aggiunta la ricerca del test virale come triage al timing del Pap test. La lunga fase preclinica della malattia e la possibilità di diagnosticare e asportare sotto guida colposcopica le lesioni precancerose (displasia severa H-SIL/CIN2-3) costituiscono i punti di forza di questo programma di prevenzione secondaria.


” Il cancro: un terremoto em
otivo”

Ansia e paura del futuro

La notizia di avere un tumore della sfera ginecologica apre davanti alla donna una voragine nella quale vede precipitare la sua femminilità, la sua maternità, la sua sessualità. La malattia arriva sempre nel momento sbagliato, interrompendo bruscamente progetti e speranze. Spazza via di colpo un’agenda di appuntamenti, incombenze, impegni di lavoro, progetti familiari. Per un periodo, che può essere anche piuttosto lungo, sembra che il ritmo della vita normale sia sospeso e non ci sia spazio che per la malattia. Molte donne, inoltre, si preoccupano dell’immagine sociale, ossia del fatto che l’intervento, più o meno mutilante, possa influire negativamente su ciò che gli altri pensano di loro. Quindi, accade che il mutamento dell’assetto corporeo, della propria qualità di vita, della propria immagine esterna, della propria intimità e non ultima la paura di non riuscire a sconfiggere il cancro e di morire possano creare uno stato di depressione anche molto profonda ansia e paura del futuro. Il senso di confusione dopo una diagnosi di tumore è stato paragonato “ai secondi successivi a una scossa di terremoto”. Al sollievo e alla forza che derivano dal superare di volta in volta le varie prove in un iter diagnostico-terapeutico a volte molto complesso si associa la consapevolezza di avere anche molti ostacoli da affrontare in famiglia, con i propri cari.

Ansia chirurgica e di mutilazione

L’intervento è vissuto intimamente come un’invasione, e, anche se razionalmente se ne comprende l’importanza, emotivamente molte donne si sentono aggredite. È molto complesso per una donna gestire la menomazione risultante da un intervento al seno e nell’ambito della sfera ginecologica: insieme al tumore, infatti, sembra che sia stata asportata anche l’immagine di sé. La minaccia a questa parte del corpo che culturalmente rappresenta la femminilità in tutte le sue accezioni (materna, erotica, simbolica) può generare un sentimento di crisi dell’identità, un senso di perdita irreparabile e di rabbia. Inoltre, la paura delle conseguenze fisiche delle terapie amplificano questa sensazione di perdita di controllo sul proprio corpo. Sono sentimenti condivisi più o meno da tutte le donne, normali reazioni a un evento forte e traumatico.

Ansia di morte e di perdita

Costituisce la tela di fondo per la quasi totalità delle pazienti e dei loro familiari. A questo proposito si possono individuare diverse modalità di reazione di fronte a tale minaccia, reazioni che vanno dal polo opposto della negazione allo spostamento su problemi collaterali (problemi familiari, o altre patologie minori) al pessimismo totale. 

Le relazioni

Riconoscersi in un corpo cambiato

Non è infrequente che il cancro segni il corpo in modo permanente, lasciando cicatrici, mutilazioni e alterazioni funzionali. Anche quando non visibili, queste ferite del corpo possono persistere a lungo nell’“immagine corporea”, cioè nella percezione, sia fisica (il corpo) sia psicologica (stima di sé, relazioni, sessualità), che la persona ha di sé.

Le modificazioni corporee richiedono un processo di adattamento che è influenzato da una serie di fattori – ad esempio, età, fase del ciclo di vita – e che può durare a lungo nel tempo. In particolare, può succedere che modificazioni nel corpo nell’immagine corporea condizionino, anche a distanza di anni, il senso di salute generale, la cura per l’aspetto, la scelta degli abiti, i contatti sociali e la sessualità. In particolare, sembra che all’interno di una relazione di coppia, sebbene il superamento della malattia avvicini i partner e fortifichi il legame, i cambiamenti corporei possano comunque provocare disagio e stress, soprattutto nell’intimità; si tratta quindi di un aspetto che non va trascurato, sia per il benessere personale sia per il benessere della coppia.

Le persone care, la famiglia, le amiche, ma anche altre donne che hanno superato il tumore sono un vero e proprio “cuscinetto di protezione” in questo delicatissimo momento.

La famiglia

Le relazioni all’interno della famiglia si costruiscono sulla base di influenze reciproche, a partire dai bisogni, dalle emozioni, dalle attese, dalle convinzioni, dallo stile di comunicazione fra i suoi membri. L’atteggiamento di ognuno influenza, quindi, in modo diretto o indiretto, gli altri membri del gruppo familiare e viceversa. Si comprende, quindi, come il cancro possa rappresentare, tanto per il paziente quanto per la sua famiglia, una difficile prova esistenziale. In generale, è abbastanza comune tra chi affronta l’esperienza di malattia, vivere alcune difficoltà quali: cambiamenti relazionali, di ruolo e di ridistribuzione delle responsabilità, fraintendimenti nelle reciproche aspettative, ecc… I problemi relazionali generalmente dipendono dal tipo di rapporto esistente prima della malattia: rapporti già compromessi o difficili tendono a esserlo anche in seguito; relazioni solide possono diventare ancora più forti. Alcuni malati riferiscono che non sarebbero stati in grado di far fronte a quest’evento senza l’aiuto dei loro familiari e, generalmente, il supporto continua anche dopo la fine dei trattamenti. Per altre persone, però, le difficoltà relazionali presenti in famiglia prima dell’evento malattia persistono anche durante tutto l’iter terapeutico e dopo la fine dei trattamenti, limitando la qualità sia del supporto ricevuto sia del supporto percepito.

Molte donne si chiedono come parlare ai figli, specie se bambini, del tumore. Cosa dire dipende dalla loro età, ma è importante cercare di non dire loro bugie. Come gli adulti, i bambini hanno bisogno solo delle informazioni che possono gestire. Bisognerebbe dar loro l’opportunità di chiedere, ma capire quanto vogliono davvero sapere. I bambini traggono beneficio quando le abitudini di casa e la routine quotidiana vengono mantenute il più normalmente possibile.

La coppia

All’interno della famiglia, il partner è colui/colei che, oltre al paziente, più risente dell’esperienza di malattia e delle sue conseguenze: gli/le si attribuisce la responsabilità della gestione dei diversi momenti di “crisi” e diventa il referente principale per l’intero sistema familiare, anche a distanza di molti anni dall’evento. La relazione di coppia è, quindi, fortemente influenzata dall’esperienza di malattia, sia dalla prospettiva individuale di ogni membro, sia dalla convergenza e/o diversità nell’attribuzione dei significati all’interno della coppia. Relazioni con solide basi, antecedenti la malattia, solitamente si mantengono stabili nel tempo. Riuscire a comunicare apertamente con il/la proprio/a partner, esprimere le emozioni e aver cura dell’intimità, sono ritenuti fattori protettivi rispetto allo sviluppo di problematiche psico-relazionali all’interno della coppia

Sessualità

La sessualità è un aspetto importante della vita di una persona e riguarda tanto la sfera fisica quanto quella psicologica e sociale. In seguito alla malattia oncologica e ai trattamenti, un numero elevato di persone sperimenta preoccupazioni per la sessualità e/o vere e proprie difficoltà sessuali, come conseguenza di un danno fisico/funzionale o di un disagio di natura psicologica. Superare i tabù ancora presenti in questa dimensione è necessario per migliorare la propria qualità di vita. L’asportazione chirurgica di organi sessuali e i relativi trattamenti medici, causando una diversa percezione del proprio corpo (immagine corporea), possono compromettere la sessualità inducendo vissuti di indesiderabilità e non attrattiva che inibiscono alcune fasi del ciclo sessuale.Poiché queste difficoltà possono generare ed essere, di conseguenza, complicate da un aumentato disagio emozionale, uno psicologo potrebbe aiutare ad affrontarle: parlarne è il primo passo per risolvere il problema.Inoltre, è importante: ricordare che non ci sono regole per vivere bene la sessualità.

Partire dall’idea che l’intimità non si limita al rapporto sessuale aiuta a scoprire, o a riscoprire, altre forme di relazione affettiva;coltivare la relazione.

Può essere piacevole riscoprirsi nella quotidianità: piccole attenzioni, sorprese reciproche, esperienze che uniscono; riconoscere le esigenze di coppia. Cercare il dialogo e la complicità con il proprio partner, condividendo paure e desideri; confrontare passato e presente.

Com’erano la vita affettiva e la sessualità prima della malattia? La coppia parlava della propria

relazione fisica e della sua qualità? È cambiato qualcosa nella percezione del proprio corpo dopo la malattia? Un eventuale allontanamento dal proprio partner è imputabile solo alle difficoltà sessuali? La risposta a queste domande può aiutare a comprendere la propria situazione affettiva e sessuale e a individuare la strategia per migliorarla.

L’iter terapeutico post-chirurgico

1- Le cure chemioterapiche e/o radioterapiche

In genere, il periodo delle cure chemioterapiche e/o radioterapiche è sicuramente uno dei momenti più duri di tutto il percorso verso la guarigione, particolarmente tempestoso da un punto di vista emotivo e fisico. Le reazioni avverse quali nausea e vomito a volte incontenibili, febbre, astenia intensa, insonnia e depressione legati alle terapie amplificano la sensazione di perdita di controllo sul proprio corpo e di impotenza.

2- Le terapie Integrate

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